sabato 25 febbraio 2017

BAMBINI


” Lasciate che i bambini vengano a me.”
( Mc 10,14)
Certo è che per capire la parola di Dio bisogna che il tempo passi, che l’acqua, tanta acqua scorra sotto i ponti e che abbiano superato il livello di guardia non una ma cento, mille volte.
Peccato che ce ne accorgiamo tardi ma meglio tardi che mai.
Quando rimasi incinta del mio primo e rimasto unico figlio non trascurai di leggere tutto ciò che era necessario per conoscere ciò che io avrei dovuto dargli per farlo stare bene, per assicurargli un futuro di bravo e buon ragazzo, educato, rispettoso e pronto per affrontare senza timore le inevitabili battaglie della vita.
E di questo ne avevo avuto un assaggio indigesto non appena lo concepimmo, perchè fu allora che incappammo da subito in medici, medicine, ospedali, indagini, mala sanità inframezzata da qualche rarissimo spiraglio di cielo.
Perchè a ben pensarci, come commentò la mia amica dopo aver letto la storia, il mio primo e per ora rimasto unico libro che ho scritto fermo al 5 gennaio 2000, dobbiamo pregare per questi poveri medici su cui confluiscono le nostre aspettative puntualmente deluse.
La vita non è andata in vacanza da allora, anzi si è data da fare per farmi sentire viva, e quale corpo può dirsi morto fino a quando sente il dolore?
Se è per questo non sono viva ma stravivivissima e come dice la mia amica Michela Malagò vivisiima e strabenedetta, con cui lei, amica del Web mi saluta al mattino.
In questa settimana, poichè io sono scomparsa, sono scomparsi i saluti.
Chissà a quanti è venuto in mente che stavo male di più, se fosse stato possibile!
Tornando ai bambini su cui ti soffermi solo dopo dopo che ti sono venuti a mancare, ripenso al mio diventare orfana di figlio prima di metterlo al mondo, visto che a due mesi mi fecero l’anestesia totale per togliermi quel grumo di sangue che hanno chiamato gravidanza extrauterina ma che di extrauterino era solo il loro cervello, quello dei medici, che poi si sono inventati per coprire l’abbaglio che avevo una tuba cistica.
Un pezzo di giovane di 2 metri con tanto di moglie e di prole è la mia gravidanza mancata che mi fu restituita dopo 5 anni da mia madre.
E io ancora con la testa imballata su ciò che è giusto e ciò che non lo è, ciò che dovevo dare non mi preoccupai minimamente di cosa poteva dirmi un bambino sconosciuto di 5 anni, pur essendo io quella che lo aveva partorito.
Ma siamo abituati a metterci in cattedra e non ci sfiora l’idea che i bambini hanno tanto da insegnarci.
Ne ho fatto esperienza con i figli di mio figlio, l’ex extrautereino, che infischiandosene che la scuola mi aveva messo in pensione perchè incapace di deambulare, affidò alle mie cure prima Giovanni e poi Emanuele di 4 anni più piccolo.
I miei libri di carne li chiamo, perchè il vangelo me l’hanno insegnato loro, aprendomi gli occhi e le orecchie alla meraviglia, facendomi rimpicciolire a tal punto da mettermi con loro nelle tane delle formiche o nei raggi di luce che si immillano quando al mattino il sole poggia i suoi raggi sul mare increspato dalla brezza leggera.
Giovanni li chiamò “scintillanti” e da allora ne andammmo in cerca, ne facemmo una professione, per riempire ogni giorno il nostro sacco di grazie a Gesù, a Maria, a Dio, a tutta la corte celeste.
Fu un ‘mpresa far entrare a 6 anni di distanza il piccolo Emanuele nel sacco lui che non conosceva il nostro linguaggio cifrato.
Emanuele diceva che a casa mia c’era il lupo ma lo Spirito santo non va in vacanza e mi suggerì quella volta e fu per sempre che, invece di consolarlo dicendo bugie sul rientro anticipato della madre con eventuale regalino, mi sono fatta lui, sono diventata Emanuele e con lui ho cominciato a entrare nel suo dolore parlandogli della mamma, di quanto era bella, di quanto morbide le sue braccia, dolci i suoi baci.
Che aveva ragione a piangere, anche io l’avrei fatto.
Si rasserenò quasi subito, un po’ quello che accadde a me qualche giorno fa in cui, presa dalla disperazione, tanto stavo male, mi si aprì la pagina delle LAMENTAZIONI.
Mi sono sentita dire che avevo ragione a lamentarmi e che Dio mi metteva in bocca la sua parola per non farmi sforzare.
Mi sono sentita dire che c’è spazio anche per il lamento, che non è peccato e che Dio attraverso un bambino gà anni prima me l’aveva suggerito per farmi guadagnare la fiducia in Lui che mi ama di amore eterno e sa cosa consola l’uomo.
C’è un tempo per ridere, un tempo per piangere, un tempo per ringraziare il Signore di quel pianto e di quel riso.

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